Un uomo, un vecchio cancelliere, si avvia lentamente verso il portone del Tribunale. Ha perso da poco la figlia. Dopo che lei, per la seconda volta, era scappata da casa, era andato a riprenderla, di notte, in una caserma di carabinieri, nella capitale. Ma l’auto, durante il viaggio di ritorno, era precipitata da un ponticello. E la ragazza era morta. L’uomo, a breve, dovrà pendere parte, come cancelliere, a un processo in Corte d’assise. Un ragazzo, un tossicodipendente, è stato ucciso a coltellate. Ma, accanto a questo processo, ne inizierà un altro: quello che l’uomo, nel chiuso della sua coscienza, intenterà contro se stesso. La figlia, quella notte, voleva tornare a casa o, invece, continuare a fuggire? Lui, andando a riprenderla, in che misura aveva inciso sul suo destino? Fino a che punto, un padre, può coartare la volontà di una figlia? Ed ecco che, ad aiutarlo a rispondere a queste domande, compare in scena una donna: è giovane, aggressiva, procace, con un largo sorriso “stampato” sui denti bianchissimi. E’ la sorella di due degli imputati; ma, soprattutto, sembra possedere, per una serie di coincidenze, se non la verità su sua figlia, gli elementi e gli indizi che potranno portarlo a scoprirla. Agli occhi dell’uomo, finisce così per apparire, a sorpresa, una doppia vita, sconvolgente e insospettata, della figlia. E la sentenza che emetterà contro se stesso sarà, alla fine, tragica e definitiva.