L’Autore, ricorrendo per una seconda volta all’uso della prosa poetica, sembra voler liberarsi del vincolo della rima delle opere precedenti, e dare maggiore concretezza e realismo a quel disagio, altre volte manifestato, nei confronti delle situazioni più controverse della società moderna e dell’agire collettivo. Le composizioni del volumetto, quasi un saggio poetico di sociologia di massa, esprimono una sorta di rabbia rassegnata per la collettivizzazione comportamentale, azioni, parole, atteggiamenti, uniformità mentale. Il tutto è astutamente gestito da anonimi manipolatori burattinai, che nella tecnologia dominante e nella gestione degli strumenti mass-mediatici trovano fertile terreno per trarre profitto finanziario e potere. L’originalità del titolo tende a esprimere una metafora: i jeans, pratici e ruvidi, già abbigliamento da lavoro, poi simbolo di ribellione, ridotti a uniforme imitazione collettiva, confezionati con tutt’altra tela che quella denim, quando non trasformati paradossalmente in leggins, sono diventati esteriorità pseudo - estetica (scoloritura e strappatura), cioè apparenza, a conferma di quanto sopra detto.