Il ricordo della memoria, la nostalgia degli anni e le tracce della fanciullezza caratterizzano questo volumetto. Pietro Angelone dopo qualche anno, impegnato nella composizione di opere di altro genere, decide così di ritornare all’antico amore, la Maremma della pre-riforma agraria, del latifondo e dei braccianti, dei padroni e degli sfruttati. Ed ecco così riaffermarsi la poesia nelle strofe della quartina e dell’ottava, diventando canto, nel quale una sorta d’amarezza accompagna ogni verso. Siamo così un’altra volta alla riproposta della poesia popolare, più nel particolare a quella di natura contadina (ed il riferimento a Rocco Scotellaro risulta obbligatorio), meditata e stilisticamente elaborata, nella quale ben s’inserisce il paragrafo dedicato ai “contrasti poetici”, un genere che risale al XIII sec., quell’arguta altercatio confluita così straordinariamente nella poesia improvvisata, cioè “a braccio”, che ancor oggi sopravvive in pochissimi epigoni. Infine, con il paragrafo dedicato alle “voci dell’infanzia” (filastrocche, cantilene, ninnananne, liberamente rielaborate) e alle “storie fantastiche” l’Autore vuole concedersi e concedere ai lettori una sorta di fanciullesco disimpegno, quasi a significare che la storia ha fatto il suo corso, come il percorso di chi quella Maremma ha vissuto, ormai da tanti anni, e di coloro che da tempo più non sono. Così la componente fanciullesca e fantastica costituisce una sorta di farmaco salutare al “ricorso” ed all’amarezza della “Maremma che fu.