L’idea che la vera storia contemporanea cominci con il 1945 si va diffondendo. Non penso, a questo proposito, al dibattito accademico, che ha modalità complesse, ragioni profonde e una ricaduta più ristretta, bensì al comune sentire (di quanti sono in grado di storicizzare la propria esperienza, diretta o mediata, con la realtà), a quello che si definisce “il senso comune della storia”. Questi decenni così drammatici e dinamici, contraddittori eppure contraddistinti da linee-guida che hanno segnato profondamente le nostre esistenze individuali e le nostre appartenenze collettive (basti pensare al rifiuto della guerra su larga scala, all’emancipazione politica di un gran numero di popoli e nazioni, all’integrazione europea, ai processi di globalizzazione, all’incremento demografico mondiale, alla rivoluzione informatica), richiedono sempre più la nostra attenzione. In un panorama così sfaccettato, abbiamo imparato a rivolgere lo sguardo, oltre che ai fenomeni evolutivi ora citati, al lato oscuro della storia, quello dei grandi crimini, delle violenze su larga scala, delle stragi, dei genocidi, che hanno segnato anche la seconda metà del XX secolo. Non è un caso che questa fase della storia dell’umanità cominci con le vittime di Hiroshima e Nagasaki e abbia conosciuto, in questi nostri anni, una nuova svolta con la spettacolare distruzione delle Twin Towers, l’11 settembre 2001: anche in questo caso, una strage di civili, meno drammatica negli esiti quanto a numero delle vittime, ma anch’essa “epocale”, per ragioni che sono a tutti evidenti.