Un movimento di andata: che è quello degli scrittori arabi in trasferta, non solo linguistica, nel nostro Paese. E un movimento di ritorno: per una ricezione, la nostra (di occidentali con qualche senso di colpa), dentro cui conta il livello di autorappresentazione e di autoconsapevolezza antropologico-culturale di quegli stessi scrittori nel momento in cui, aprendosi a un mondo “altro” -e secondo l’inevitabile istanza d’una traduzione che è anche, in quanto tale, un tradimento-, portano con sé la possibilità stessa del dialogo interculturale. Edward Said ce l’ha insegnato nel suo Orientalismo: l’Occidente ha spesso vincolato l’interpretazione del mondo arabo a un sistema di pregiudizi e luoghi comuni che ha fortemente compromesso l’incontro e la conoscenza reciproca. È però accaduto talvolta che, secondo Silvia Lutzoni, gli scrittori arabi, nei modi di un vero e proprio processo di autocolonizzazione culturale, hanno dato il loro equivoco contributo, predisponendosi all’incontro già in costume etnico, così come li si sarebbe voluti incontrare. Su queste premesse, Lutzoni fa seguire, a una prima sezione dedicata alle idee generali, una seconda esplicitamente concentrata su una congrua produzione letteraria di autori arabi recentemente tradotti in italiano, e una terza in cui alcuni degli indiscussi protagonisti di quel mondo sono chiamati alla testimonianza in viva voce, laddove l’incontro con l’intervistatrice si trasforma in avvincente confronto critico. Tutto questo in un libro in cui la critica, volta sempre alla decostruzione ideologica e antropologica del sistema dei valori all’opera, non rinuncia mai, proprio in virtù del lavoro di demistificazione, al giudizio di valore e alla verifica della qualità estetica dei libri via via esaminati.