All’interno dell’ampia produzione dell’angolano Pepetela, la “favola per tutte le età” intitolata La montagna dell’acqua lillà, che qui si presenta per la prima volta al pubblico italiano, può sembrare apparentemente fuori luogo, una sorta di breve e disimpegnato divertissement, paragonabile a incursioni nella letteratura d’infanzia di altri grandi autori, come ad esempio i nostri Moravia e Buzzati. Ma proprio come nel caso dei due scrittori citati, le cui opere per l’infanzia racchiudono livelli ulteriori di significato, anche questo libro di Pepetela contiene gran parte delle tematiche già presenti nelle opere cosiddette maggiori. Elementi come le conseguenze derivanti dall’avidità, dall’eccessivo desiderio di conoscenza, dalla volontà di oppressione o di miglioramento della propria condizione a discapito degli altri trasformano i lupilupi, i lupi-luponi e i coccolupi-lupi in nuove declinazioni allegoriche dell’umano e della sua storia, su una lunghezza d’onda simile a quella di un capolavoro quale La fattoria degli animali di Orwell. Le dinamiche interne alla società della Montagna dell’acqua lillà sono le stesse, anche se forse semplificate e rese più evidenti, che ritroviamo nelle più profonde pagine sociologiche dei romanzi di Pepetela e in fondo questa favola ha lo stesso fine di molti dei suoi romanzi: permetterci di imparare dalla storia, mostrarci gli errori compiuti dai nostri predecessori affinché tentiamo di evitarli, di non ripeterli. In molte sue pagine, una calviniana leggerezza stilistica si affianca con grande naturalezza a tematiche complesse, spesso dure, se non crudeli; ma verso cui mai viene meno la lente dell’ironia, che altro non è se non uno sguardo affettuoso rivolto ai limiti dell’umano. In questo senso, La montagna dell’acqua lillà rappresenta un estremo di leggerezza, che nasconde una profondità e una saggezza apparentemente insospettabili.