Nel 1760 Cesare Barotti, ferrarese, bibliotecario e cultore di epigrafia, intraprende un viaggio a Roma. Durante il suo soggiorno nella città eterna, tiene un dettagliato diario, nel quale, seguendo la sua passione epigrafica, annota il testo di molte delle iscrizioni osservate nelle chiese e sui monumenti romani. Ma le citazioni epigrafiche contenute nel testo appaiono solo una delle componenti del resoconto di Barotti: il gusto aneddotico per il racconto mondano e le accurate descrizioni dei monumenti, delle chiese e dei dipinti osservati nella sua permanenza a Roma – e nelle molte città e piccoli borghi dove pernotta durante il viaggio di andata e ritorno da Ferrara – rappresentano infatti per lo storico un’importante testimonianza della vita e del costume romano del tempo, oltre che una fondamentale fonte di informazione sullo stato conservativo e sulla condizione delle opere della città pontificia nel Settecento. Il commento al testo di Barotti diventa così l’occasione per una approfondita e attenta analisi di questi aspetti della storia dell’arte e della società del XVIII secolo.