Che a inaugurare la piccola serie di studi su prostituzione ed emigrazione per lo più d’età contemporanea ospitati in questo numero della nostra rivista sia stata scelta l’ampia analisi di Anna Esposito sul caso di Roma fra Quattro e Cinquecento presuppone quanto meno il dubbio che le due cose risultino sovente connesse fra loro già in età moderna e in ambiti urbani tanto più attrattivi quanto più in grado di assicurare diverse occasioni d’impiego a donne non tutte necessariamente del posto oppure dedite in pianta stabile all’esercizio del mestiere, come suol dirsi, più antico del mondo. L’elenco delle provenienze italiane ed europee delle prostitute romane somministrato dal sacerdote spagnolo Francisco Delicado nel suo Retrato de la Lozana andaluza, pubblicato nel 1528 a Venezia un anno dopo il drammatico sacco di Roma da parte dei lanzi tedeschi e degli altri soldati spagnoli di Carlo V fornisce un dettaglio non banale della Descriptio Urbis pure d’inizio secolo XVI ovvero di un ritratto della popolazione romana poi edito da Domenico Gnoli nel 1894 e sottoposto vent’anni più tardi ad accurata verifica dal giovane demografo Livio Livi. Le “nazionalità” di origine delle prostitute, secondo Delicado, figuravano essere 66, mentre nel “Census” del 1517 “su 1.424 indicazioni riferite al mestiere, per le donne il più rappresentato [era] quello della cortigiana con ben 206 attestazioni e precisamente 182 cortigiane, 12 putane, 3 curiali, 2 meretrici, 7 done de partito”. Alcune delle cortigiane censite, precisa Esposito, vengono indicate anche con altre qualifiche, “come ad esempio «Ysabeta todescha cortesana et lavandara», o «Domenica de Narnia quale tene camere locande, putana» il che fa pensare che per queste donne il meretricio non fosse il mestiere prevalente, ma che fosse praticato per rimpolpare gli scarsi redditi del loro abituale lavoro....