Mi è accaduto a volte, durante il mio lungo soggiorno harvardiano, di dover rispondere a richieste di studenti che intendevano ricevere da me ragguagli sulla mia formazione intellettuale nell’università italiana e sui tempi di scansione della mia vocazione di comparatista, che ora si esercitava attraverso il filtro di una cattedra che aveva un passato eloquente ed un nome illustre che recentemente l’aveva gestita: quello di Harry Levin. Il dialogo con questi studenti mi ha suggerito una serie di riflessioni che espongo qui nella forma diretta in cui sono state originariamente concepite. […] Se è consentito insistere su un fatto personale, se si è sempre quello che si è diventati, mi pare di poter dire che tutto per me e in me sarebbe stato diverso, se questo colloquio non fosse rimasto vivo e continuo nel tempo, malgrado lo spazio che mi ha diviso dal paese in cui sono cresciuto e mi sono formato.